I tre partiti di governo italiani hanno tre posizioni diverse sulle trattative in Europa

03/07/2024 – «Ah ’nfame!». A un certo punto del dibattito al Senato in vista del Consiglio Europeo, mercoledì pomeriggio, Giorgia Meloni si è rivolta così al ministro degli Esteri Antonio Tajani, che stava seduto alla sua destra. Lo ha fatto ridendo: scherzava. E lo ha fatto in reazione a un’osservazione un po’ provocatoria di Matteo Renzi, leader di Italia Viva. Meloni si era lamentata con toni molto polemici, poco prima, perché i leader impegnati nei negoziati per definire gli incarichi più importanti delle istituzioni dell’Unione Europea hanno deciso di escludere il governo italiano dalle trattative. Renzi le aveva fatto notare che i protagonisti delle trattative in Europa erano stati proprio i dirigenti del PPE, il Partito popolare europeo di cui fa parte Forza Italia di Tajani, e in particolare i suoi negoziatori, cioè il primo ministro polacco Donald Tusk e quello greco Kyriakos Mitsotakis: «Se lei vuol sapere chi non l’ha chiamata ai “caminetti” [espressione usata proprio da Meloni per riferirsi ai negoziati, ndr] si volti piano piano verso destra, piano piano, non lo faccia di scatto, e guardi il ministro Tajani». A quel punto Meloni ha apostrofato scherzosamente il segretario di Forza Italia.


Poco dopo, mentre interveniva il capogruppo della Lega Massimiliano Romeo, Meloni si è fatta invece più seria. Romeo è notoriamente scettico sul sostegno militare all’Ucraina. Quando ha commentato le posizioni del governo in merito alla possibilità di un’apertura di un negoziato tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin («il nostro auspicio è che alla prossima conferenza di pace venga invitata anche la Russia»), Meloni si è alzata ed è uscita dall’aula con un gesto di insofferenza, accompagnato dai brusii di vari senatori della Lega.

Sono due scene come se ne vedono tante nelle aule parlamentari, ma spiegano a loro modo, da prospettive diverse, le effettive contraddizioni nel governo italiano riguardo alla nascente Commissione Europea e alla linea che dovrà avere in politica estera. Dopo le elezioni per il Parlamento Europeo dell’8 e del 9 giugno, sono cominciate le complicate trattative per decidere gli assetti istituzionali e le alleanze politiche nella nuova legislatura, tra cui chi guiderà la nuova Commissione, che è una specie di “governo” dell’Unione. Ma in merito a queste trattative i tre partiti di governo hanno tre posizioni diverse, per certi aspetti divergenti per altri più nettamente incompatibili, e tutti i tentativi fatti di conciliare gli approcci tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono di fatto falliti.

Così al decisivo Consiglio Europeo di giovedì e venerdì, cioè la riunione dei capi di Stato e di governo dei 27 paesi membri convocato per approvare definitivamente l’accordo sui principali incarichi comunitari, Meloni è andata con un mandato e con propositi ambigui, che riflettono le differenti visioni del suo governo.

L’accordo su questi incarichi, i cosiddetti top jobs, si era definito in verità nelle ore seguenti alla fine delle elezioni europee. Negli incontri formali e informali tra i vari leader che si sono svolti in queste ultime settimane erano emersi chiaramente due elementi. In primo luogo, la determinazione delle principali famiglie europeiste – i Popolari di centrodestra, i Socialisti di centrosinistra e i Liberali di centro – di rinnovare anche questa volta l’accordo che praticamente da sempre compone la maggioranza a sostegno delle istituzioni europee. In secondo luogo, si era manifestata in modo netto l’intenzione di riconfermare Ursula von der Leyen, tedesca del PPE, alla presidenza della Commissione; di mettere alla guida del Consiglio Europeo l’ex primo ministro socialista portoghese Antonio Costa; e di nominare Kaja Kallas, prima ministra estone in rappresentanza dei Liberali, alto commissario alla Politica estera, cioè capo della diplomazia europea. Tutte nomine che sono state confermate giovedì sera. – [Continua su FONTE]

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